RIPARTIAMO DA VERDI
Note sulla Riforma della Siae
A cura di Gianluca Rotino – Nuovo Presidente e Consulente sulle Questioni Legali A.S.A.E.
Il titolo forse a qualcuno, o forse ai più, può apparire come uno sterile e polemico nostalgismo. Per qualcuno inoltre, ignorando non certo colpevolmente la storia della S.I.A.E., potrebbe non essere chiaro il rimando all’illustre compositore Italiano.
Quanti, infatti, degli aderenti all’Ente sanno che il M° Giuseppe Verdi, in quell’Aprile del 1832, a Milano, insieme ad altri grandi personaggi della più orgogliosa storia del nostro Paese (Cesare Cantù, Arrigo Boito, Francesco De Santis per citarne solo alcuni), collaborò alla stesura e firmò il primo statuto della S.I.A.E., allora solo Società Italiana degli Autori?
Non si pensi sia solo un banale richiamo nozionistico, “Ripartiamo da Verdi” significa, ammetto provocatoriamente, :«ripartiamo dalla nostra identità», tutt’altro che sterilmente.
Nel corso dei quasi 170 anni che ci separano da quel 23 aprile la S.I.A.E. più volte è stata “riformata”, ma come? E “dove” tali riforme hanno condotto l’originale sodalizio di autori?
Seriamente non si può pensare di mettere mano a delle riforme senza conoscere quale è lo scheletro, il principio generatore, mi si passi la metafora, il DNA originale dell’Ente che oggi si vorrebbe riformato. Mutare le mutazioni non può che produrre ingombranti, inadeguati, assurdi mostri.un Leviatano, quello che oggi agli occhi di molti, e comunque certamente di troppi, è appunto la S.I.A.E.
Riformare, significa modificare migliorando, ma è sotto gli occhi di tutti quello che è accaduto, certamente l’Ente è stato modificato, ma è stato anche migliorato?
Oggi tutti abbiamo sotto gli occhi cosa sia divenuta la S.I.A.E., e cosa rappresenti per coloro i quali è stata fondata e per la tutela dei cui interessi esiste.
I fondatori, però, non avevano certo in mente un ente monopolistico ed un “arrogante gabelliere” quale in molte occasioni la Società si è dimostrata.
Essi fondarono la S.I.A.E. per associare gli autori, i compositori, gli editori ed i giuristi, questo allo scopo di diffondere ed affermare i principi giuridici e morali della protezione delle creazioni letterarie ed artistiche. A tal fine si prefissero di operare iniziative di studio, propaganda e anche di sostegno alle rivendicazioni di singoli autori, anche in sede giudiziaria. Fondarono la S.I.A.E., quindi, non certo per contrastare gli autori stessi in tale sede, come più volte in tempi recenti ha fatto e continua a fare.
Tali nobili fini, infatti, sono stati, nel corso degli anni e delle evoluzioni, sistematicamente disattesi. Le attività di studio sono state ridotte ad un aspetto secondario facendo dell’aspetto economico il fine principale e non lo strumento per il perseguimento dei fini statutari, come invece correttamente doveva essere inteso.Escludendo gli ottimi “quaderni del Burcardo” e la pubblicazione periodica della rivista giuridica “Diritto d’Autore”, la S.I.A.E. ai fini del promuovimento e della diffusione della cultura del diritto d’autore poco o nulla ha fatto.
Nel 1891 la Società degli autori si organizzò al fine di raccogliere, gestire e tutelare il repertorio dei propri associati e venne eletta ad Ente Morale.
In questo periodo l’Ente si battè, incredibile a dirsi, per l’affermazione di principi in materia di durata della protezione del diritto, di soppressione di qualsiasi formalità amministrativa quale condizione di protezione dell’opera, di riacquisto dei diritti sulle opere prive di tutela per mancanza di deposito.
L’espressione di questi principi confluirono nella legge 1950 del 7 novembre 1925, una delle più avanzate dell’epoca.
La vera svolta però che ha condizionato in gran parte l’odierna struttura della S.I.A.E. e a cui, a mio sommesso avviso, si devono le tuttora presenti disfunzioni dell’Ente, avvenne nel 1926.
In quell’anno, infatti, trasferì la propria sede a Roma e l’anno seguente assunse il nome di Società Italiana degli Autori ed Editori. Iniziò così la trasformazione della Società in senso pubblicistico, processo che ebbe il suo apogeo nelle due sentenze del 1932 e del 1937 della Corte di Cassazione che la definirono Ente pubblico.
Fu in questo periodo storico (regime fascista –n.d.r.) che la S.I.A.E., assumendo la denominazione di EIDA (Ente Italiano per il Diritto d’Aurore), assunse anche la riserva esclusiva dell’attività di intermediazione comunque attuata per l’esercizio dei diritti di pubblica rappresentazione, esecuzione, recitazione, radiodiffusione e riproduzione di opere letterarie, teatrali e musicali. Prerogativa, questa, che non accenna nemmeno a mitigare.
Negli anni tra il 1932 e 1936 diverse riforme statutarie rafforzarono struttura pubblicistica dell’Ente, inquadrandolo nel sistema corporativo; configurazione, questa, cristallizzata nella notissima legge 633/41 (legge sul diritto d’autore – n.d.r.).
Furono così dapprima trascurati e poi stravolti i profili originali del sodalizio, nato come associazione di creatori intellettuali e operatori della cultura.
Caduto il regime fascista la Società riacquistava la denominazione di S.I.A.E., ma conservò, e tuttora conserva, tutto ciò che l’aveva snaturata. Rimase e rimane, infatti, un Ente pubblico, a cui l’aggiunta del predicato “economico”, tutt’altro che felice, assicura quel margine di libertà d’azione e di “grigio” nel quale la Società tutt’ora si muove all’interno del campo istituzionale.
La S.I.A.E. è quindi, senza tema di smentita, un apparato in piena controtendenza storica in un’epoca in cui i monopoli nel settore commerciale (qual’è essenzialmente l’attività della S.I.A.E.) vengono convertiti. È un’eccezione al principio di non ammissibilità di posizioni dominanti, vigente nel sistema giuridico dell’informazione. È un monopolio di fatto, l’unico del quale quasi nessuno parla, l’unico appena accennato nei testi di diritto amministrativo, l’unico del quale non si pensa una seria risistemazione secondo i principi della concorrenza.
Infatti, riassumendo, la S.I.A.E., nata nel 1882 come sodalizio di soli autori e diveniva ente pubblico nel 1941, in un epoca dove certo non rappresentava l’unica eccezione alla normalità grazie alla la legge n.633/41, firmata da Benito Mussolini. In quell’epoca l’appropriazione della cultura da parte del Governo faceva parte di un preciso programma politico. Ma oggi come spiegarla?
Prima di passare ad esporre ciò che a mio avviso potrebbe, e dovrebbe essere fatto appare opportuno, ai fini di questa analisi, prendere in esame ciò che finora si è fatto o si è cercato di fare, questo al fine di trarre utili indici per prevedere (speriamo con un ampio margine d’errore) quale potrebbe essere la prossima configurazione della S.I.A.E.
L’8 luglio scorso alla camera dei Deputati, gli onorevoli Giovanna Grignaffini e Fabrizio Bracco (Democratici di Sinistra) hanno presentato una proposta di legge dal titolo: Promozione della cultura e nuove forme di organizzazione del diritto d’autore. Il testo, mi si permetta, si presenta come un “capolavoro” statalista ispirato ad un principio, che meglio sarebbe chiamare assurdo giuridico, espresso in un convegno di Roma e definito pilastro della nuova legge: la creazione estetica è un bene pubblico. Come meglio precisa la proposta di legge il riferimento è alle «creazioni artistiche e culturali in tutti i loro generi e manifestazioni», cioè alle opere d’ingegno che divengono «insostituibili valori sociali». In questa proposta, inoltre, viene accentuato il carattere pubblico dell’ente definendolo, a scanso d’equivoci (se mai ce ne fossero) «ente pubblico economico a base associativo di diritto pubblico». Una formulazione, questa, che un qualsiasi giurista non stenterebbe a definire quantomeno ambigua.
La proposta in esame arriva a configurare una S.I.A.E. la cui posizione di esclusività ex-lege (prevista all’art. 180.1 legge sul diritto d’autore) non viene assolutamente intaccata, ed è noto che posizioni di esclusiva comportano inevitabilmente la presenza di monopoli. Addirittura il “monopolio” dell’ente si estende a dismisura poiché comprende «tutte le creazioni artistiche in tutti i generi e manifestazioni».
In conclusione non vi sarebbe alcuna opera capace di sfuggire al “controllo” di un ente pubblico economico sottoposto alla vigilanza di un ministero, con un presidente di nomina governativa ed al cui interno non avrebbe rappresentanti di categoria capaci di opporsi efficacemente, esclusi dal Consiglio di Amministrazione da altre norme.
E pensare che questa proposta era stata annunciata da un comunicato ANSA dal titolo “Proposta di legge D.S.- stop al monopolio S.I.A.E.”.
La decisa opposizione di tutti gli operatori del settore ha bloccato l’iter parlamentare della proposta Grignaffini – Bracco.
Il Governo, però, avvalendosi della delega (stravolta nella ratio) ricevuta attraverso una delle leggi Bassanini il 29 ottobre scorso, sotto la pressione del sindacato autonomo S.I.A.E. (Conf. S.A.L.- n.d.r.), emana un decreto (d.lgs. 419/99) che all’art.7, riorganizzando la S.I.A.E., molto riprende del documento D.S.
Quest’ennesimo esempio di scavalcamento del Parlamento nella sua funzione legislativa, che fa rientrare dalla finestra quello che è uscito dalla porta, non riforma la materia del diritto d’autore, ma si limita a compiere una rilettura, per altro più che discutibile, dei principi Bassanini.
Il testo di legge pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 268 del 15 novembre nelle sue norma:
1) ne ribadisce al comma 1 la natura di ente pubblico;
2) la sottopone alla vigilanza del ministero dei beni e delle attività culturali. Sottraendola si dall’influenza della Presidenza del consiglio, ma non certo da quella indiretta dello stesso.
3) Non abroga l’art. 180 e, quindi, ne conferma l’esclusività.
4) Sottrae l’approvazione dello statuto, documento che regola effettivamente l’organizzazione ed il funzionamento dell’ente, al Presidente della Repubblica, per passarla al Ministero vigilante in concerto con il ministero del tesoro e del bilancio e programmazione economica. Viene così eliminato l’ultimo residuo di terzietà rispetto al Governo, di cui di fatto la S.I.A.E. diviene emanazione.
5) Prevede la separazione contabile e la distinzione di gestione tra la tutela del diritto d’autore e i diritti connessi e la gestione relativa agli ulteriori servizi (comma 7). Ammette così implicitamente la natura distinta che tale attività rappresenta, la sua natura prettamente privatistica e quindi l’anomalia che in un regime di libera concorrenza e circolazione di servizi questo rappresenta.
6) Dispone che la SIAE possa esercitare altre funzioni quali la gestione di servizi di accertamento e riscossione di imposte, contributi e diritti, anche in regime di convenzione con pubbliche amministrazioni, regioni, enti locali ed altri enti pubblici o privati. Trasformandola definitivamente in una “gabelleria”.
Ecco ritornare nella sua attualità il monito efficace contenuto nel capolavoro di Giuseppe Tomasi, principe di Lampedusa:«… perché nulla cambi bisogna che tutto cambi…».
Può in qualche modo apparire corretto o solamente opportuno che una legge fascista, che istituisce un ente previsto necessario dal regime, venga consolidata ancora maggiormente nella sua struttura antimercato e nella previsione di legami con l’esecutivo, da una riforma… varata da un Governo moderno e democratico?
Nel perseguimento di tali oscuri fini, l’Esecutivo si avvale di una delega, interpretata ad hoc, promulgando una legge protezionista e statalista, contraria ai principi comunitari che sanciscono il c.d. diritto all’auto produzione.
Questo diritto concede ai soggetti interessati di organizzarsi nelle forme previste dalla legge per tutelare i loro interessi. Il nostro stesso ordinamento lo ha recepito (all’art.9 della l. 287/90, la c.d. legge antitrust) e lo ha accettato essendo previsto nell’art 90 del trattato CE.
La tutela delle opere non implica l’esercizio in forma monopolistica dei servizi che a tale attività sono, o possono essere connessi, come ad esempio la riscossione e la ripartizione dei proventi derivanti da diritto d’autore, attività eminentemente privata e esplicata attraverso un’organizzazione d’impresa. Non occorre essere un giurista per intuirlo.
Anche la Cassazione, Suprema corte, ribadì ( Cass. SS.UU. sen. n°. 02431/97) che l’attività della S.I.A.E. come ente pubblico, in tema di ripartizione dei compensi riscossi, si configura nella potestà regolamentare, autoritativa dell’ente, il cui concreto esercizio delle decisioni prese in quella sede rientra nel diritto privato, nella c.d. attività dell’organizzazione, quindi non ha ragione d’essere mantenuto sotto forma di monopolio.
Non si pensi sia un argomento di poco conto o che non riguarda tutti, operatori del settore e non.
Nel 1998 questo ente ha incassato come importi lordi 1.966 miliardi, di cui 752 per la sua funzione di monopolista di fatto nelle intermediazione del diritto d’autore, dei quali, a sua volta, per il “servizio” svolto ne ha trattenuti 120.
Per il “mostro” della copia privata, ovvero il diritto degli autori, potenzialmente passibili di essere lesi dalla duplicazione delle loro opere, di percepire una percentuale (dal 3% al 10%) del prezzo di acquisto dei supporti vergini (CD, cassette, videocassette, etc.)nel 98 l’Ente ha riscosso quasi 35 miliardi, cifra dalla quale la S.I.A.E. ha trattenuto per se altri 3 miliardi.
“La S.I.A.E. dalla parte di chi crea”. Questo recita lo slogan dell’ente. Sarà, ma molti autori (chi crea – ndr.) da anni sono in contenzioso proprio per la negazione del loro diritto principe. Nel frattempo la Società ha incamerato, solo nello scorso esercizio, più di 2 miliardi di interessi su diritti d’autore in contestazione, ed ha speso otre 10 miliardi in consulenze e prestazioni professionali (tra cui rientrano i compensi ai legali?). Questo dopo aver pagato 118 miliardi di stipendi ai suoi dipendenti.
A questo non posso esimermi da aggiungere una considerazione sulla entità degli stipendi di un qualsiasi dirigente dell’Ente. Questa figura infatti percepisce, indipendentemente dall’effettività delle mansioni svolte, una retribuzione superiore a quella del Primo Presidente della Cassazione.
In conclusione la S.I.A.E. ha incassato aggi, provvigioni e rimborsi spese forfetarie per 268 miliardi…riuscendo a chiudere il conto economico con un disavanzo di esercizio di quasi -31 miliardi.
Certo deve essere dispendioso mantenere un monopolio con 1.600 dipendenti diretti nella sede centrale e 7.000 impiegati, dipendenti ed accertatori nelle 14 sedi regionali e 45 Agenzie provinciali dislocate su tutto il territorio nazionale, in immobili per lo più di pregio posti in zone residenziali o centrali.
Non sono un aziendalista, ma mi pare che, con i principi di trasparenza ed economicità stabiliti dalla legge (art. 1, l. 241/90) non ci siamo proprio.
Tali distorsioni non potranno essere sanate, e permarranno, fino a quando l’ente continuerà a svolgere le proprie funzioni in assenza di concorrenza operando nell’alveo tracciato dalla legge n. 23/93 per le amministrazioni ministeriali.
Siamo giunti nel frattempo, grazie a questo modello gestionale, all’ennesimo commissariamento (il secondo in sette anni) non solo per via del deficit di bilancio a tutti noto, ma anche e forse soprattutto a causa del ben più profondo deficit progettuale di democrazia interna (cfr.Marco Minniti sul Corriere della sera del 29/05/1999).
La S.I.A.E., ad oggi nel contesto sociale ed economico che va prospettandosi, non garantisce, né potrebbe, per la rigidità che compete ad un organo di garanzia quegli aspetti di flessibilità, competitività e customers satisfaction necessari a creare i presupposti per un libero mercato e per garantire la libera circolazione dei servizi connessi al sempre più multiforme mondo del diritto d’autore, in continua evoluzione
Attualmente l’ente costituisce più che una garanzia al rispetto del diritto d’autore, un impropria imbrigliatura per lo sviluppo dello stesso
Per queste ragioni prima di realizzare gli utili e necessari interventi di riforma statutaria, occorrerà decidere della conservazione della condizione di esclusiva di cui attualmente gode la S.I.A.E.
Credo che dalle mie affermazioni si percepisca la mia posizione di favore affinché questa condizione, in un giorno che non vorrei lontano, venga a mancare.
Le ragioni che mi portano ad auspicare questo sono molto semplici .Il monopolio di fatto della S.I.A.E., grazie all’esclusiva ex lege attribuitagli dalla legge, rende inevitabile una perdita di efficienza nei servizi, svolti, come sono, da un unico referente in materia di aggi e compensi , con ovvia conseguente turbativa del mercato. Oltre all’ovvia perdita di competitività dell’Italia come terreno di elezione per la tutela delle opere da parte di molti autori non solo stranieri.
La S.I.A.E. nelle esercizio del suo aspetto gestionale, e quindi privatistico, risulta di fatto sottratta ex-lege alle regole di mercato, creando una confusione tra la sua natura pubblicistica e le sue competenze di diritto privato che una semplice separazione gestionale certo non risolve.
Se è d’interesse generale la tutela del diritto d’autore, come credo anch’io, è lo Stato che deve farsene carico, non demandandolo a strutture anacronistiche e di ambigua classificazione giuridica.
Inoltre non è un mistero che comportamenti abusivi si siano più volte manifestati da parte dell’ente proprio in coincidenza dell’esercizio di quelle competenza privatistiche, riconosciute come tali anche dalla Cassazione: l’ordinanza di ripartizione.
Tale strumento, attraverso il quale, a seguito del mandato implicito nell’iscrizione all’ente, gli autori percepiscono i proventi frutto della riscossione operata dalla S.I.A.E., è stato spesso oggetto di contestazioni per la iniquità e per l’arbitrarietà con cui venivano decisi i criteri attraverso i quali doveva attuarsi.
Contro ogni principio di diritto comune ai paesi civili, infatti, le regole non venivano decise prima del “gioco” ma addirittura al termine di questo, creando gravi lesioni dei diritti soggettivi dagli aventi causa e barricandosi, a chiaro scopo dilatorio ed ostruzionistico, alternativamente dietro regolamenti di competenza che a seconda degli interessi della Società, si faceva oscillare dalla sede amministrativa a quella ordinaria.
Il mantenimento del monopolio nell’offerta di servizi connessi al diritto d’autore risulta chiaramente contrario alle regole fondamentali comunitarie sulla libera circolazione dei servizi.
Viene così favorito un mercato organizzato, di diritto e/o di fatto, secondo modelli che escludono la concorrenza e limitano grandemente la libera iniziativa economica. Va ricordato che in questo contesto non è solo un danno economico, ma anche, e soprattutto, una illegittima castrazione del pluralismo culturale, humus indispensabile allo sviluppo competitivo del nostro Paese.
Non pare, infatti, che le attività connesse alla tutela del diritto d’autore abbiano i caratteri di «interesse economico generale» che giustificherebbe la permanenza dell’anomalia.
Vero è che la concessione d diritti esclusivi, ai sensi dell’art.90, n.1, del Trattato, non è di per se incompatibile con l’art. 86 dello stesso.
Tuttavia la Corte di Giustizia, nella famosa causa C-179/90, ha avuto modo di dichiarare che uno stato membro contravviene ai divieti posti da queste due disposizioni, quando l’impresa di cui trattasi è «…indotta, col mero esercizio dei diritti esclusivi che le sono attribuiti, a sfruttare abusivamente la sua posizione dominante…o quando questi diritti sono atti a produrre una situazione in cui l’impresa è indotta a produrre abusi del genere», e pare proprio che in numerose occasioni la S.I.A.E. sia ricaduta nella fattispecie qui prevista.
Volendo allargare il discorso, questa situazione di distorsione del mercato abbraccia non solo la Società italiana, ma anche le sue consorelle internazionali, tanto che, a mio sommesso avviso, l’accordo vigente tra le varie società di tutela collettiva delle opere costituisce un chiaro esempio di cartello, d’intesa restrittiva della concorrenza, contro gli articoli 7, 85, 86 e 90 e quindi sanzionabile alla luce di questi.
Non sarebbe onesto omettere che anche in S.I.A.E. si sia presa coscienza di tale situazione e dell’anomalia che essa rappresenta.
Sembra quindi opportuno riportare una parte della dichiarazione di insediamento del direttore generale dott. Francesco Chirichigno rilasciata il 6 maggio 1998.
Nella sua lucidità e onestà intellettuale, il Direttore Generale della S.I.A.E., focalizza quali sono le motivazioni per cui la struttura della SIAE risulta a tutt’oggi non idonea ad affrontare il contesto futuro. Queste sono state le sue parole:
“… Viviamo in un contesto sociale mobile e discontinuo e non possiamo pensare di restare immobili, tanto più nel momento in cui l’entità transnazionale dell’Europa Unità, con le sue regole, le sue armonizzazioni, i suoi dettati competitivi.…Non si può passare in un giorno dalla religione del pubblico ( a ancora operante in buona parte nel nostro Paese) a quella del privato; dal culto dello Stato all’idolatria del mercato, senza rischiare…l’assenza di punti di riferimento. Penso che non possa farlo un Paese, ma nemmeno un organismo come la SIAE, Ente bifronte, con aspetti pubblici e privati al tempo stesso. Sul piano pubblicistico, infatti, si collocano i controlli da parte dei pubblici poteri, il conseguimento di fini pubblici e cioè un’ordinata tutela del diritto d’autore e la gestione di pubblici registri, i poteri di autorganizzazione e autotutela.
L’aspetto privatistico viene sostanziato invece, dalla struttura associativa su base elettiva, dal contratto di mandato tra singoli detentori dei diritti e SIAE, dai permessi generali per l’utilizzazione delle opere comprese nel repertorio gestito dalla Società.
Nel corso degli anni la SIAE ha saputo convivere egregiamente con questi aspetti, senza però coltivare quella cultura del servizio e della competività che il contesto sociale, economico e politico va sempre più richiedendo. Basti pensare alla nuova realtà dell’Europa Unita con le sue logiche di mercato e le sue istanze antimonopolistiche.…”.
Come un artista all’apice della sua carriera percepisce quando è il momento di ritirarsi per lasciare il miglior ricordo di se, così la S.I.A.E. dovrebbe comprendere, al di là degli interessi particolaristici, che è giunto il momento di “farsi da parte” (almeno parzialmente) per lasciare che i diretti interessati si autorganizzino e creino un mercato sui principi del pluralismo e della competività, magari, e perché no, conservando il ruolo di “vigilante” affinché siano rispettate le regole finalmente e definitivamente uguali per tutti.
In questo quadro, che spero di aver tracciato chiaramente, si arriva alla odierna esigenza di riforma, ed è proprio alla luce di quanto finora esposto che l’iniziale monito «ripartiamo da Verdi» assume tutto lo spessore del suo significato.
Credo che non si possa obbiettare al fatto che una adeguata, corretta e idonea riforma della S.I.A.E. non possa avvenire unicamente attraverso la sola, se pur incisiva, riforma dello Statuto, ma possa realizzarsi solo rivedendo la legge (rectius: le leggi)stessa sul diritto d’autore.
Per questo motivo ritengo, innanzitutto, che lo statuto che dovrà vedere la luce a seguito delle modifiche che vi si apporteranno, dovrà essere un testo provvisorio avrà il compito di cominciare ad introdurre i germi delle profonde innovazioni che seguiranno ad opera dell’unico strumento idoneo ad apportarle : una nuova legge.
Contestualizzando quanto fin qui esposto alla odierna proposta di riforma dello statuto vigente, fatta pervenire dal professor Masi alle associazioni, mi vorrei soffermare solo su alcuni punti, senza approfondire e aderendo pienamente a quanto ravvisato dagli amici dell’ACEP.
Innanzi tutto l’art.1. Qui, al punto ,1 viene confermato, cristallizzandolo nella norma statutaria, la natura pubblicistica dell’ente.
Ebbene, ritengo che tale previsione sia innanzitutto superflua, poiché la qualificazione dell’ente è decisa dalla legge e non certo dallo Statuto, ed appare inoltre “arrogante” in quanto sembra volta a sancire, al di là di ogni dubbio, la volontà stessa dell’ente di permanere nel godimento di tale connotazione e l’assoluta refrattarietà alle istanze di innovazione che le provengono sia dal contesto internazionale che da un gran numero dei suoi associati-utenti.
A mio avviso sarebbe stato più apprezzabile un testo che avesse il seguente tenore:«La Società Italiana Autori ed Editori., che ha sede in Roma, con il presente Statuto indica ed elencagli scopi, le funzioni e la struttura che la Società persegue e di cui deve dotarsi nelle forme, modalità e limiti stabiliti dalla legge». Forma, questa, che avrebbe indicato anche il giusto rispetto per le istituzioni da cui l’ente dipende.
L’introduzione del termine «società dell’informazione», alla lettera c del punto 2 dell’art.1, per quanto apprezzabile nell’intenzione, è però l’unica testimonianza di un adeguamento al contesto moderno. Sembra comunque poco, soprattutto alla luce del fatto che non vi è menzione di chi oggi, nella c.d. new economy, produce e diffonde arte o cultura.
Non sembrerebbe infatti inopportuna la previsione di una apposita sezione, da aggiungere alle tradizionali, da dedicare alla per la Multimedialità, anzichè relegare tale tema ad un ufficio consultivo.
Dedicare alla multimedialità, nella sua accezione più lata, un apposita sezione con commissari e quant’altro la sua rilevanza richieda, sembra un giusto riconoscimento all’importanza assunta da questo settore .
All’art.2 ritrovo un particolare che presumo frutto di una svista. Infatti in quest’articolo si prevede che siano iscrivibili alla S.I.A.E. solo soggetti (persone fisiche o giuridiche) italiani, in chiaro contrasto con i principi e le norme della Unione Europea.
Sempre a questo articolo manca la previsione della titolarità dei diritti connessi, ma anche questa presumo sia una svista.
È invece apprezzabile l’assenza della ormai anacronistica distinzione tra soci e iscritti che ha lasciato il passo ad un moderno e democratico generico «associati».
Procedendo oltre, all’art.15 viene prevista la vigilanza ad opera del Ministero per i beni e le attività culturali sentito, per le materie di sua specifica competenza, il Ministero delle Finanze.
È certamente un passo avanti aver sottratto tale competenza alla Presidenza del Consiglio, ma non mi pare che si possa tollerare che un ente con rilevanza, non solo economica, della S.I.A.E. sottratto alla vigilanza dell’organo principe della nostra forma di governo: il Parlamento.
Sarebbe oltremodo opportuno riparare urgentemente a questa situazione.
Inoltre la parte dedicata al fondo di solidarietà mi pare troppo scarna e per nulla esaustiva. Andrebbe infatti rivista ampliando soprattutto il punto 2 dell’art.19, specificando i parametri entro i quali il regolamento del fondo debba svilupparsi, stabilendo principi e criteri minimi e massimi di partecipazione e tutela.
In relazione a questo importantissimo argomento sembra anche sia opportuno che venga statuito, una volta per tutte, quale sia la natura delle prestazioni definite solidaristiche dall’Ente, ma di fatto previdenziali, anche in contrasto con il parere reso dal Consiglio di Stato. Chiarito poi, se lo si vuole mantenere in esistenza, che tale servizio ha natura previdenziale è necessario statuire, come più volte ribadito dalla nostra Associazione in molti documenti, che il Fondo debba avere struttura a capitalizzazione con relativa “paternizzazione” dei versamenti, affinché vi sia una equa corrispondenza tra il versato ed il ricevuto
Sugli altri punti ho poco da dire oltre che, alla luce di tutto ciò fin qui esposto, non posso concordare su praticamente nulla, essendo per me viziato all’origine.
Vorrei solo aggiungere un ultimo e breve rilievo conclusivo, che lascio in questa sede sospeso, in relazione alla sfida che la S.I.A.E., a breve, dovrà affrontare per adeguarsi all’imminente federalismo, fiscale e politico, del nostro Paese. L’inevitabile cambio di assetto del nostro sistema politico-territoriale rappresenta infatti l’ulteriore colpo a gigante S.I.A.E. che dovrà alleggerirsi notevolmente per rimanere al passo con i tempi.
La S.I.A.E. che ha in mente l’ASAE e al cui progetto sta lavorando è tutt’altra In questo senso la nostra associazione sta portando avanti da tempo studi per riuscire a reinterpretare la natura di monopolista legale della SIAE nella mediazione dei nostri diritti, rivedendo la storia, le funzioni, le prospettive di questa istituzione ripartendo dai valori e dai principi che spinsero anche Giuseppe Verdi a dare vita a questa Società.
In questa sede lanciamo un appello a tutti Voi colleghi, creativi e “messaggeri” di cultura, per trovare la tanto agognata “unità di categoria”. Solo attraverso un lavoro comune potremo giungere alla realizzazione di una SIAE finalmente e veramente dalla parte di chi crea, ma, come si dice, questa è un’altra storia.
Gianluca Rotino
Consulente per le questioni legali